LinkedIn e gli studenti: lezioni di business networking – fase 2, l’incontro


Il 29 maggio si è svolta la seconda fase del seminario “Trovare lavoro, creare opportunità e gestire relazioni con i Business Social Network. Come?” . Qui i dettagli della giornata.

LinkedIn e gli studenti: lezioni di business networking


Migliorare le relazioni fra il mondo dell’istruzione con il mondo delle imprese, avvicinare gli studenti e le imprese all’utilizzo consapevole dei “business social network” come LinkedIn: è con questo obiettivo che l‘Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” – Corso di Laurea in Informazione Media Pubblicità e MarcheIN, Social Business Club ufficiale LinkedIn,organizzano la prima edizione di

 Trovare lavoro, creare opportunità e gestire relazioni con i Business Social Network. Come?

Si comincia l’8 maggio 2012 con un Seminario formativo presso la sede di Pesaro – PesaroStudi sull’utilizzo di LinkedIn, relatori Fabio de Vita, Fondatore MarcheIN e Marcello Zeppa, docente di Comunicazione di Impresa.

Il programma si trova qui

“Pillole” di Positioning a MarcheIn


Lo scorso 27 maggio ho tenuto all’ “AperitivoIn” organizzato a fermo dal club MarcheIn una “pillola formativa” dal titolo “La ricerca della giusta posizione per affrontare i mercati che cambiano”.
Le slide dell’incontro qui.
Alcuni approfondimenti sull’argomento dal sito http://www.brandequity.it qui

Marche-IN raccoglie imprenditori, manager, professionisti di tutti i settori e tutti i mercati che vogliono accrescere la propria rete di relazioni nel territorio. Nasce per favorire lo sviluppo del business e quindi del territorio nella Regione Marche, e si è data la mission di

  • Stimolare la produzione di nuove idee ed occasioni di business e la creazione di squadre che le mettano in pratica
  • Creare occasioni di riflessione e dibattito sia formali che informali su temi inerenti al mondo degli affari e del lavoro, mediante l’organizzazione di aperitivi, cene, convegni seminari e corsi
  • Promuovere all’interno della società una visione positiva del mondo degli affari

Servizio al cliente?


Ho già citato in un’altra occasione i post di Tom Fishburne…marketoonist inglese che con grande divertimento ed acutezza eroga lezioni di marketing e creatività condensate in un’immagine ed una battuta fulminante.È di qualche giorno fa uno strepitoso post che induce a riflessioni che vanno ben al di là della risata (agrodolce): in un periodo di cambiamenti e polemiche su call center, interpretazione un po’…estensiva di CRM  e corsa alla cancellazione dalle liste degli utenti telefonici, l’autocaricatura (si dirà così?) dell’autore che ascolta un messaggio surreale dalla voce sintetica di un servizio clienti petulante – e un po’ bastardo! – fotografa la perplessità di utenti e addetti ai lavori di fronte all’esasperazione del concetto di “servizio al cliente” .

“…La vostra telefonata è molto importante per noi!Vi preghiamo di attendere mentre vanifichiamo la buona reputazione creata dalla nostra costosissima campagna pubblicitaria” … Quest’uomo è un genio.

(E lascio al lettore la sorpresa della traduzione delle comunicazioni sul tabellone…)
Vai al post originale

Il numero di telefono aziendale online


Oggi, come spessissimo mi capita, ho cercato sulla pagina “contatti” del sito web di una grossa azienda (fantasmagorico, con animazioni Flash ed…effetti speciali) il numero di telefono per poter parlare con il servizio clienti aziendale. Come spessissimo capita, non c’era. Ma perché? Fior di aziende nel nostro Paese non pubblicano non dico il numero verde, ma nemmeno il numero di telefono del centralino.
Mi auguro che non tutti ragionino come quell’imprenditore (non molto illuminato, in verità) che un giorno mi disse che non riportava il numero di telefono perché poi tutti si sarebbero sentiti in diritto di chiamare, disturbando in continuazione mentre lui ed i suoi dipendenti lavoravano. Stavo per ribattere che effettivamente il numero di telefono serve per farsi chiamare, e che le telefonate moltiplicano le opportunità di una vendita o quantomeno di un contatto, ma – credetemi – mi sono cadute le braccia e mi sono limitato a scrollare il capo.

Comunque, oggi non mi sono arreso: copia-incolla nome dell’azienda su Google Maps. Il numero riportato faceva squillare un fax. Copia-incolla nome dell’azienda su http://www.paginebianche.it: trovato. Tempo impiegato: 12 minuti.
Ma siamo sicuri che l’utente medio abbia la stessa mia determinazione??

“Tecnologia innovativa” non significa necessariamente una idea innovativa.


Stamattina ho dimenticato sulla scrivania dello studio il Blackberry, e non lo recupererò che a fine giornata, perché sono in trasferta: quando ho realizzato la…ferale notizia, dopo un istante di panico ho scrollato le spalle pensando che tanto non ci potevo far nulla, e infatti dopo un’ora il lavoro fluiva senza problemi. E dopo due ho deciso di scrivere un post per condividere qualche riflessione. E subito , altra (ri-) scoperta: ho scritto la minuta del post sulla carta con una penna, e posso scrivere velocemente, anche se a volte la fluidità di scrittura non è quella di una volta, quando non mi ero ancora  abituato all’uso quasi esclusivo della tastiera.E poi, le telefonate che dovevo fare necessariamente le ho …“scroccate” dal fisso dell’azienda che mi ospita per una riunione (è scattata la solidarietà nel dramma: il dottore è rimasto senza cellulare!!)

La riflessione, dicevo: la tecnologia innovativa non rende necessariamente una idea innovativa! Oggi c’è una corsa da parte delle aziende di comunicazione all’ultimo gadget sofisticato per ottenere una comunicazione “di impatto”,  molto”innovativa”, “alternativa” e – Dio ci scampi! – “2.0”,  ma se ci fermiamo a riflettere un momento ci rendiamo conto che a fronte di tecnologie innovative non sempre si hanno idee veramente innovative, anzi, troppo spesso la innovazione è solo nella applicazione usata o nel materiale di comunicazione inusuale.

Bisognerebbe ragionare “a ritroso”: trovare una grande idea da supportare con una tecnologia veramente innovativa che ne amplifichi la portata. E non farsi schiavizzare dall’ultimo ritrovato in fatto di tecnologia .

7 Essential Skills You Didn’t Learn in College


L’amico e collega Giovanni Arata segnala via Twitter questo post di  WIRED,  provocatorio ma molto intelligente, come da lodevole tradizione della testata.
Da leggere -anche – con un sorriso, ma da meditare!

La classifica Interbrand 2010


Nei giorni scorsi Interbrand ha pubblicato la classifica annuale delle marche globali ( il rapporto si può scaricare qui)): al di là della curiosità che l’evento provoca nel lettore ”generico”, che significato ha, nel pratico, questa lista? È interessante vedere come l’evento sia ugualmente importante per il consumatore come per l’utente “professionale”.
Il consumatore scorre  la lista e pensa: “Toh, Coca-Cola è ancora il numero uno, che bello”, oppure “Guarda Google come sale in fretta!”
Ma per  un lettore che faccia parte della “business community” e che magari lavora per la Pepsi, Ford, o IKEA, si  ricavano delle indicazioni interessanti, soprattutto se si leggono con attenzione i report allegati e   si è in grado di interpretare  i trend   dei mercati di riferimento.
Ricordiamo che l a metrica “Intebrand Brand Value”, benché modificata nel 2010, è basata su tre fattori:

  • La redditività dei prodotti di marca
  • L’influenza del brand sulla domanda direttamente sul punto vendita
  • La Fedeltà alla marca

Questi danno la misura di che cosa differenzia alcune marche da altre, non soltanto il marketing, la pubblicità, le azioni di PR, i loghi, i nomi, e così via: in estrema sintesi, registrano quanto i prodotti di marca stanno facendo e continueranno a fare sul mercato, rispondendo a domande all’apparenza banali che richiedono risposte complesse ed articolate, come ad esempio: perché i clienti preferiscono una marca rispetto all’altra?
Le motivazioni di acquisto sono il risultato di una serie di fattori tra cui la progettazione del prodotto, caratteristiche, qualità e prestazioni, servizio clienti, l’esperienza di acquisto. E, sì, la comunicazione.
(Anche se è molto difficile che qualcuno possa sostenere che la scalata del marchio Apple negli ultimi anni sia sostenuta da qualcosa che non sia l’innovatività dei prodotti…).

I marketing manager ed i social media:un rapporto…burrascoso?


Social media,comunicazione integrata, attenzione alle istanze del consumatore, co-creare valore con il cliente: a leggere il post pubblicato su MyMarketing.Net da Elena Giampaolo queste ed altre parole / concetti del marketing non sembrano fare parte del “repertorio” dei marketing manager.
Condivido le perplessità di Elena sull’atteggiamento poco “market driven” dei manager aziendali, aggiungendo alle possibili motivazioni dello scarso favore verso le forme di marketing “social” anche l’effetto “cacciatore che diventa preda”, come viene talvolta definito, ovverosia un cliente molto più informato ed attento, organizzato in community che collabora con l’azienda, ma pone anche delle precise richieste in termini di prodotto/servizio, di quantità di denaro che è disposto a sborsare. E queste richieste non sempre trovano un’azienda pronta ad accoglierle, soprattutto quelle che hanno da sempre agito come “cacciatrici”, imponendo un proprio modo di stabilire il prezzo, l’erogazione del servizio, la disponibilità del prodotto…

Buona lettura!

1 marketing manager su 3 dichiara di non avere in previsione programmi di comunicazione che includano i social media.

A rivelarlo una ricerca condotta dall’agenzia Cohn & Wolfe, che ha voluto valutare l’atteggiamento verso i social media di aziende e consumatori. Sono stati intervistati più di 80 manager di marketing e di comunicazione di aziende operanti in Italia e oltre 200 consumatori online tra i 18 e i 54 anni.

Se i manager sembrano scettici all’investimento sui nuovi media e privilegiano ancora i canali tradizionali, emerge una tendenza opposta da parte dei consumatori internauti, che invece richiedono alle aziende di sviluppare nuove modalità di interazione online con i propri clienti (83% ).

Per i manager la modalità di comunicazione on line prevalente rimane il sito aziendale, seguito da Facebook (44%), YouTube (44%) e Twitter (28,4%), il mobile si ferma al 17%  e Flickr al 16%. Nelle aziende del campione le iniziative sul web assorbono meno del 25% degli investimenti in marketing e comunicazione nel 77% dei casi. Tra le azioni da effettuare online, i manager ripongono maggiore interesse verso il marketing online (67%), la corporate/brand communication (61%) e l’ascolto/monitoraggio del web (57%).

Attraverso la propria azione sui social media, le aziende si aspettano principalmente di migliorare la propria brand awareness (81%) e difendere/migliorare la propria corporate reputation (76%), anche se non considerano i social media uno strumento utile per gestire in modo efficace e rapido eventuali criticità (57%).
Soltanto il 24% dei manager intervistati vede opportunità di servizio per i propri clienti attraverso il social web e in ogni caso chi ci investe non si aspetta di incrementare le vendite .

Quanto emerge dalle interviste ai manager è una volontà prevalente di fare informazione online su prodotto e sulle novità aziendali, privilegiando una modalità di comunicazione monodirezionale, che non prevede l’ interazione con il cliente.

Le aspettative dei consumatori però sono tutt’altre. Gli internauti chiedono alle aziende maggiore partecipazione su internet e anche sui social media. Quasi l’80% dei consumatori intervistati ritiene opportuna una presenza attiva dei brand nei social media. I consumatori sono convinti che le aziende dovrebbero utilizzare i social media per avere riscontri sui propri prodotti (77%) e per coinvolgere le loro community e dar vita ad azioni socialmente responsabili (73%). Ben il 75% degli internauti crede che le aziende dovrebbero sfruttare i canali social anche per la vendita.

Cifre che parlano da sole, se si considera anche che il 53% dei consumatori è convinto di ricevere un servizio migliore da quelle aziende/marchi che interagiscono sul social web – quasi l’80% nella sola fascia 18-24 anni.

Viene da chiedersi perchè i manager non colgano il fenomeno?

Probabilmente per lo scetticismo nei confronti della rete, per la difficoltà nella misurabilità dei risultati, ma anche e non ultimo perchè “non è mai stato fatto” e non è sempre facile, soprattutto in aziende dimensionate, essere portatori di cambiamento. Ci si deve assumere forti responsabilità e convincere il top management al passaggio da un investimento sicuro sui mezzi tradizionali (stampa, televisione e radio) ad un investimento meno certo e con effetti più di lungo periodo sui nuovi media. Una transizione non sempre facile, quando il punto fermo è che si devono portarealmeno gli stessi risultati dell’anno precedente.

Dice Philip Kotler “Un’azienda è marketing oriented se è capace di ascoltare e comprendere il mercato, individuare bisogni ancora insoddisfatti e rispondere con un’offerta di valore adeguata e competitiva”.

Dai risultati di questa ricerca il bisogno insoddisfatto risulta evidente, i consumatori richiedono una maggiore interazione delle aziende online e sui social media. Ora sta al marketing costruire un’offerta che posssa soddisfare il bisogno.

Buon lavoro!

Elena Giannopolo


A proposito di “ascolto del cliente”


Stavo giusto leggendo un commento a proposito dell’ultimo post “Ascoltare, la chiave del marketing“, quando il reader mi ha recapitato un post…illuminante da bnet. Illuminante sull’attitudine del marketing di certe aziende che sembrano più attente alla compilazione del modulo di Customer Satisfaction piuttosto che alla soluzione dei problemi del cliente. Nel post leggiamo la classica non-comunicazione: l’azienda pone delle domande al cliente e ne ignora le risposte, replicando alle richieste con altre domande. L’applicazione del Comma 22 al marketing?

Stop Badgering Me with Customer Satisfaction!

I never thought I’d complain about a company trying to bathe me in customer satisfaction, but the time has come. And the problem comes from an unlikely source: my local car repair shop.

Earlier this year I had brought my car in for a repair, and they did their usual nice job getting my rumbling ride back on the road. The trouble started a week later, when I received a customer satisfaction survey in my e-mail box.

On a scale of 1- 10, 10 being the highest, I graded most of the people and services I received between 8 and 10. But I rated the receptionist who took my payment a 4 — it was closing time, she was obviously eager to get out of work, and I didn’t even get a smile for my $1,800 check. She was doing her job, nothing more. That’s a 4 — a little less than adequate — in my book.

I gave my “service adviser”, the chap who writes up your trouble and calls you when the car is ready, a 7. Again, he did his job, was a little personable, but nothing more. (My previous adviser, for example, had pointed out a 10% off coupon I was eligible to receive.) I also gave a 5 on the question of whether I received an appointment on my day of choosing (I had to wait three days).

I hit the submit button, privately thanking the company for being so diligent to get my opinion. Then the problems started.

My advisor sent a note. “I received your survey with a score of 68.8 out of 100. If you have a chance, could you please eleborate on a few questions for me. This will help myself and the dealership improve our process.”

I took 15 minutes replying to his queries. I also expressed surprise that the people I rated were informed of my grades and allowed to contact me — I had assumed this info was used by the dealership management in private.

Then I received a similar e-mail from the boss of the cashier, the person I graded a 4. That was a 5 minute e-mail reply, and hope on my part that they didn’t drag her out behind the garage for a sound thrashing.

A few days later I received this e-mail from the area manager. “Your recent survey feedback indicated that we may not have delivered on all commitments during your recent experience.” I was asked to answer if the team had contacted me personally to resolve any problems.

I’m sure many of you reading this would be impressed by the effort my dealer was going to ensure my satisfaction. But I had to spend more than 30 minutes taking the poll and handling the follow-up inquiries, as well as undergo a little embarrassment. What’s more, I don’t really think survey was about making me happy; it was about the dealer being able to report good customer sat numbers back to corporate.

One thing I learned, I certainly won’t be filling out their survey again.

Tell me, am I nuts about complaining about this? Isn’t there a less intrusive way to make sure customers are satisfied?